Mosè Bordero, 93 anni appena compiuti, sale con attenzione ogni gradino della sua lunga scala. Arrivato in cima, pialla, carteggia, stucca il suo leudo, una barca a vela latina lunga 22 metri, che ha voluto costruire solo con l’aiuto delle sue mani e delle sue idee e forse per questo l’ha voluto chiamare «Con l’Aiuto di Dio».
Una storia straordinaria, fatta di resilienza se si pensa che Mosè ha cominciato questa colossale impresa a 80 anni, nel suo paesino in Liguria, Casarza, nella Val Petronio, dove vive: «Quando ho cominciato nessuno pensava che ci sarei riuscito. Mi davano del matto, la reputavano un’impresa pazzesca per un uomo solo, e della mia età, ma io non mi sono mai arreso». Impossibile non notarlo mentre lavora al suo leudo parcheggiato a lato della strada statale che attraversa il comune di Casarza, esposto alla pioggia e al vento, e Mosè racconta che c’è voluto un anno per realizzare solamente quella precaria copertura che lo ripara dal vento e dalla pioggia, eppure anche allora non aveva mai voluto un aiuto. Il suo leudo non è una barca normale, è un tipo di veliero antichissimo, nato nel Golfo del Tigullio e serviva per trasportare le merci.
Un vecchio amore di Mosè che anni fa ne aveva un altro, che ha perso per disavventure economiche. Una volta risolte, non è più riuscito a ricomprarlo: «Allora a 80 anni ho deciso che il leudo me lo sarei costruito io, e anche di un metro più lungo dell’altro, solo “con l’Aiuto di Dio”». In quel momento è diventato anche il suo nome. Ci sta riuscendo e aggiunge con una punta di romanticismo: «Nella mia lunga vita non sono mai stato più di una settimana lontano dal mare; e per chi ama il mare come me, una bella barca è come una bella donna. Il mio desiderio adesso è riuscire a terminarlo e vederlo navigare, spero di vivere abbastanza a lungo, di avere ancora il tempo necessario».
Mosè ogni mattina si alza alle 6 e comincia a lavorare senza improvvisare, seguendo anche una tecnica all’avanguardia che ha inventato lui, per realizzare la curvatura dello scafo, per affrontare meglio le onde, e guardando ogni particolare si capisce che è un vero progettista, oltre a un raffinato maestro d’ascia. Un’impresa che non è passata inosservata: è stato un ragazzino di 10 anni Riccardo, di ritorno da scuola, a Casarza, incuriosito da quel vecchietto che lavorava a quell’immensa barca, a coinvolgere i suoi genitori per capire chi fosse e cosa volesse fare. Si sono conosciuti, ma Mosè ha ripetuto che non voleva esser aiutato. Vito e sua moglie Chiara non hanno insistito, loro sono dei produttori cinematografici, hanno fondato un’agenzia di produzione, e hanno subito pensato di realizzare un video per i ragazzini delle scuole dell’età di Riccardo.
Ma sono riusciti a fare molto di più, un docufilm di 60 minuti prodotto dalla loro agenzia Flying Donkeys per la rassegna «Cinema in Blu» con il contributo di Splendido & Splendido Mare, della Regione, girato dal giovane regista di Chiavari Nicola Bozzo. Un progetto a chilometro zero per spiegare la storia di un’imbarcazione in via di estinzione, che ha fatto il giro di tutti i mari, per non dimenticarla e per mostrare la forza di un’idea impossibile, e per capire che non esistono limiti ai sogni. Un esempio della tenacia di chi non si è arreso davanti alle difficoltà e si capisce bene guardando quest’opera maestosa e perfetta.
Intanto il leudo non si ferma, continua far parlare e il 26 giugno il docufilm sarà proiettato nella piazzetta di Portofino, dopo l’anteprima nazionale del 12 maggio scorso a Sestri Levante durante il Riviera International Film Festival proprio in occasione del novantatreesimo compleanno di Mosè.